
Soluzioni tra legname e sottobosco
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Un nuovo studio mostra l’influenza dei metodi di gestione forestale sulla struttura funzionale del sottobosco
Una nuova ricerca a cui ha partecipato l’Università La Sapienza di Roma ha analizzato il modo in cui l’intervento umano sulle foreste, con la sua varietà di strategie volte principalmente alla produzione di legname, ha un impatto significativo sulla vegetazione del sottobosco e di conseguenza sulla sua salute.

Costituito dalla vegetazione al di sotto del livello della chioma degli alberi, il sottobosco svolge un ruolo fondamentale negli ecosistemi forestali: ospita la maggior parte della biodiversità delle foreste e influenza processi vitali come la rigenerazione e il funzionamento dell’intero ecosistema.
Partendo dall’analisi di 2107 punti di campionamento distribuiti in 146 siti e in dodici diversi Paesi europei, i ricercatori hanno indagato il modo in cui distinti metodi di gestione forestale influenzano la ricchezza e la resilienza degli ecosistemi.
I parametri considerati
I parametri considerati sono stati tre. Anzitutto si è analizzata la diversità funzionale, ovvero la gamma delle caratteristiche delle specie (come l’altezza della pianta, il tipo di radici o la dimensione delle foglie) che influenzano la loro interazione con l’ambiente e le altre specie. Più è alta la diversità funzionale, maggiore è la capacità di una foresta di resistere ai cambiamenti ambientali. In altri termini, così come un team composto da persone con diverse competenze sa reagire meglio a nuove sfide o cambiamenti rispetto a un gruppo di persone con capacità più limitate, allo stesso modo in una foresta, se alcune specie sono sensibili a un particolare disturbo o cambiamento climatico, altre specie con tratti funzionali differenti potrebbero essere in grado di sopravvivere e mantenere le funzioni dell’ecosistema.
È stata poi analizzata la ridondanza funzionale, ovvero la presenza in un ecosistema di diverse specie che svolgono funzioni simili. In questo caso, se una specie viene colpita da una malattia o da un cambiamento ambientale, le altre specie con funzioni simili possono compensare la perdita, garantendo lo svolgimento delle stesse funzioni. La ridondanza funzionale è cruciale per la resilienza di un ecosistema, ovvero la sua capacità di resistere e riprendersi da perturbazioni o cambiamenti. Un ecosistema con elevata ridondanza funzionale è come una rete con più nodi: anche se un nodo si rompe, la rete nel suo complesso può continuare a funzionare.

Infine, è stata considerata la dominanza, ovvero la situazione in cui una o poche specie sono presenti in modo sproporzionatamente abbondante rispetto alle altre specie all’interno di un ecosistema. Un’elevata dominanza può avere diverse implicazioni per un ecosistema, rendendolo più vulnerabile a cambiamenti ambientali, malattie o altri disturbi.
I risultati della ricerca
Le conclusioni a cui è giunta la ricerca è che la gestione delle foreste può influenzare pesantemente questi tre fattori. Nel caso della gestione intensiva – ovvero quando c’è una elevata intensità di raccolta per massimizzare la produzione di legname a breve termine – viene ridotta la diversità funzionale del sottobosco, l’ecosistema diventa più vulnerabile ai cambiamenti ambientali e meno resiliente a lungo termine; in compenso, cresce la ridondanza funzionale, ovvero la presenza di specie diverse che svolgono ruoli ecologici simili.
Quando invece si opta per un regime a bassa intensità (ovvero quando si organizza il taglio degli alberi in più fasi, per permettere un naturale rinnovamento delle specie, oppure dopo specifica selezione degli alberi), i livelli di diversità e ridondanza funzionale del sottobosco rimangono simili a quelli delle foreste non gestite.
La ricerca conclude che, pur non esistendo un regime di gestione forestale universalmente consigliabile, le pratiche a bassa intensità possono aiutare a mantenere sia la diversità che la ridondanza funzionale, promuovendo ecosistemi forestali resilienti e adattabili.