
Cambiamenti climatici, motore dell’evoluzione
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L’utilizzo di modelli matematici aiuta a ricostruire la storia più lontana dei nostri antenati
Un recente studio pubblicato su Nature Reviews Earth & Environment, a cui hanno partecipato l’Università di Firenze e l’Università Federico II di Napoli, evidenzia, attraverso l’utilizzo di modelli matematici, il ruolo dei cambiamenti climatici come forza motrice dell’evoluzione umana.

I modelli utilizzati
Per comprendere l’impatto dei cambiamenti climatici sull’evoluzione umana sono stati utilizzati tre modelli matematici diversi. Quelli di distribuzione delle specie, che collegano specie estinte o esistenti con variabili ambientali, hanno combinato dati paleoclimatici e ambientali con set di dati fossili e archeologici sulla presenza e l’assenza di ominidi.
I modelli basati sulla densità, comunemente usati per dare forma alle dinamiche di dispersione e di crescita di una popolazione, hanno analizzato i tassi di riproduzione, mortalità e mobilità umana. Infine, i modelli basati su agenti si sono concentrati su come il comportamento, il movimento e l’interazione con l’ambiente diano origine a processi su larga scala o a lungo termine.
Spinta al cambiamento
Il quadro emerso restituisce informazioni preziose per comprendere la storia dei nostri antenati.
Homo habilis e Homo ergaster, tra i primi esponenti del genere Homo, prediligevano ambienti aperti come le savane. La loro limitata capacità di adattamento a condizioni climatiche e ambientali diverse da quelle native fece sì che occupassero una nicchia ecologica ristretta.
Homo erectus, circa 2 milioni di anni fa, si spinse per la prima volta fuori dall’Africa, dimostrando una maggiore capacità di dispersione rispetto ai suoi predecessori. Si adattò a foreste temperate e tropicali, ma mostrò poca tolleranza per le condizioni più fredde degli ambienti extratropicali. La sua colonizzazione dell’Europa potrebbe essere stata interrotta da un brusco cambiamento climatico circa 1,126 milioni di anni fa, suggerendo che questa specie non disponeva degli strumenti culturali per resistere alle nuove condizioni fredde.
Homo heidelbergensis dovette confrontarsi con cicli glaciali-interglaciali sempre più intensi, e si diffuse in Eurasia tra 800.000 e 600.000 anni fa. Riuscì a sopravvivere alla variabilità climatica ampliando la propria nicchia fino a includere le foreste boreali.
Strettamente imparentato con quest’ultimo fu Homo neanderthalensis che, oltre alle foreste temperate e alle praterie, si adattò durante i periodi glaciali sia alla regione mediterranea che ai climi più freddi della tundra.

Ma fu Homo sapiens a sviluppare una capacità senza precedenti di sopravvivere in una varietà di ambienti, compresi i più estremi come deserti e tundra. Gli scienziati ritengono che la capacità di adattarsi a nuove condizioni climatiche e di colonizzare nuovi ambienti abbia giocato un ruolo cruciale nell’estinzione di alcune specie umane e nella nascita di altre, inclusa la nostra.
L’incremento delle abilità cognitive
L’adattamento culturale fu la chiave dell’evoluzione umana. Innovazioni come il controllo del fuoco, l’uso di vestiti, lo sviluppo di maggiori relazioni sociali e l’invenzione di strumenti di caccia più sofisticati permisero agli ominidi di fronteggiare le sfide poste dai cambiamenti climatici e di espandere le loro nicchie ecologiche.
Modelli matematici al servizio della paleontologia
L’utilizzo di modelli matematici che integrano dati paleoclimatici, archeologici e demografici, affermano i ricercatori, è strategico per comprendere l’impatto dei cambiamenti climatici sull’evoluzione umana. Ricorrere ad essi permette di colmare le lacune nei dati (i reperti fossili e archeologici offrono solo una visione parziale e spesso casuale del passato), creando una rappresentazione più continua e affidabile degli ambienti passati e delle dinamiche di popolazione degli ominidi. Consentono inoltre di simulare diversi scenari evolutivi, modificando le variabili ambientali e i parametri demografici per testare ipotesi specifiche sull’influenza del clima sulla dispersione, l’adattamento e l’estinzione delle specie umane. Permettono poi di quantificare l’impatto di specifiche variabili ambientali, come temperatura, precipitazioni o produttività vegetale, sulle dinamiche di popolazione degli ominidi – un approccio che aiuta a stabilire con maggiore precisione le relazioni causa-effetto tra cambiamenti climatici ed evoluzione umana.
Tali modelli, sostiene lo studio, possono essere utilizzati anche per simulare scenari futuri, esplorando l’impatto dei cambiamenti climatici in corso sulle popolazioni umane. Questo tipo di analisi predittiva può fornire informazioni preziose per sviluppare strategie di adattamento e mitigazione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici.