
Api: perché è importante proteggere quelle native
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Le analisi genetiche confermano la presenza di sottospecie aliene, dalle caratteristiche meno desiderabili
Per proteggere l’integrità genetica delle api autoctone dell’Emilia-Romagna, è fondamentale monitorare la diffusione di quelle importate da altri luoghi. E la legge non basta: servono monitoraggio e politiche più rigorose. È quanto emerge da un articolo, pubblicato su Scientific Reports, che descrive uno studio condotto dall’Università di Bologna.

L’indagine sulle api in Emilia-Romagna
La ricerca ha preso in considerazione 1143 api mellifere, provenienti da zone diverse dell’Emilia-Romagna, delle quali è stato analizzato il DNA mitocondriale, un marcatore efficace per valutare la variabilità genetica all’interno e tra le popolazioni di api.
L’ape più rappresentata è quella ligustica (Apis mellifera ligustica), con una prevalenza dell’86,6%. Questa sottospecie autoctona è di grande importanza per l’apicoltura italiana; nativa dell’Italia peninsulare, ha una serie di caratteristiche che la rendono ideale per la produzione di miele e altri prodotti dell’alveare. Tra di esse l’elevata produttività (di miele, polline e pappa reale), la docilità (che riduce il rischio di punture e facilita le operazioni di gestione dell’alveare), la resistenza a malattie come la peste americana e la peste europea (cosa che permette di mantenere la salute delle colonie e ridurre le perdite di api), e l’adattabilità a diverse condizioni climatiche, dal clima mediterraneo a quello continentale.
Gli studiosi hanno però rilevato anche la presenza di altre api non native. L’analisi del DNA ha riscontrato un 11% di ape carnica (Apis mellifera carnica), che ben si adatta ad aree montuose come l’Appennino; un 1,3% di ape africana (Apis mellifera adansonii), e un 1,1% di ape nera europea (Apis mellifera mellifera).
Specie aliene: perché rappresentano una potenziale minaccia
Queste nuove sottospecie di api rappresentano un problema, e una potenziale minaccia. L’incrocio tra api ligustiche e altre sottospecie può comportare la perdita delle caratteristiche peculiari dell’ape nativa, come la docilità, la produttività e la resistenza alle malattie. In altre parole, le api ibride potrebbero produrre meno miele o essere meno efficienti nella raccolta del polline; la nota aggressività di quella di origine africana, se trasmessa incrociandosi con quelle ligustiche, potrebbe rendere più difficile e pericoloso il lavoro degli apicoltori; il rischio si trova anche nella possibilità delle nuove sottospecie di introdurre nuove malattie o di diffondere patologie alle quali l’ape nostrana è meno resistente.
Le soluzioni proposte
Secondo gli scienziati, è possibile intraprendere diverse azioni. Anzitutto è importante implementare un sistema di monitoraggio genetico continuo e su larga scala delle popolazioni di api in Emilia-Romagna per tracciare la diffusione delle sottospecie non autoctone, valutare l’efficacia delle misure di conservazione e intervenire tempestivamente in caso di necessità. In secondo luogo, viene suggerita l’adozione di politiche più rigorose per limitare l’introduzione e la diffusione di sottospecie non native, con la possibile introduzione di controlli più severi sull’importazione di api regine e la promozione dell’allevamento di api regine liguistiche certificate.
Infine, vengono proposte azioni di sensibilizzazione rivolte agli apicoltori per informarli sui rischi dell’erosione genetica e sull’importanza di utilizzare api regine ligustiche. La loro collaborazione, sostiene la ricerca, è fondamentale per garantire il successo delle misure di conservazione.